«La ripresa? Misure per le imprese. Tagliare il cuneo fiscale»
MILANO Le banche, per certi versi, sono una sorta di sensore delle cose che succedono. Anche del clima del Paese. Dello stato di salute delle imprese, della quota di fiducia. Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’associazione che le riunisce, spiega: «A guardare bene la situazione, la legge di bilancio può diventare l’occasione per creare le condizioni di una spinta alla ripresa. Non dobbiamo rassegnarci alla crescita dello zero virgola. E in questo momento anche l’Europa non ci è così avversa come sembrava in passato…»
E da dove bisognerebbe partire?
«La riduzione del cuneo fiscale è il primo punto. Un anno fa la legge di bilancio ha introdotto quelle che potremmo definire le garanzie sociali, con il reddito minimo e quota 100. Ora bisogna andare al punto vero per la ripresa, incentivi per lo sviluppo e ridurre il costo del lavoro per andare incontro anche alle richieste delle imprese dei sindacati. Un valore che andrà distribuito tra imprese e lavoratori. Il tema centrale è rimettere in moto il Paese, con una misura che riguardi tutti. Ridurre la pressione fiscale su imprese e lavoro. Un intervento semplice e che non entra in conflitto con le regole europee».
Eppure questa crescita non riesce più a trasformarsi in nuova occupazione. Davvero bisogna aver paura della tecnologia?
«Queste preoccupazioni ci sono sempre state, ogni volta che l’innovazione cambia il quadro di riferimento. Oggi le imprese cercano più ingegneri e personale qualificato. E in molti casi non riescono a trovarlo. Forse è su questo fronte che bisogna lavorare, sulla formazione. Bisogna creare un clima di fiducia, incoraggiare le imprese, non scoraggiarle».
Il calo dello spread sotto 180 punti è un bel segnale…
«Un anno fa, c’era l’incubo della fine del quantitative easing, un clima cupo. La decisione di Draghi di giovedì conferma un quadro molto accomodante, E già da due settimane lo spread sta calando. Questo produce vantaggi per il bilancio dello Stato che vede ridurre il costo del debito e anche l’annullamento di aste del Ministero dell’economia va in questa direzione. Si può innescare finalmente un circolo virtuoso, bisogna ridurre il tasso d’incertezza. Il problema vero è sbloccare l’Italia mentre Mario Draghi e poi Christine Lagarde hanno il compito e la missione di sbloccare l’Europa».
E la Brexit?
«Sembrerà paradossale, ma con l’arrivo di Boris Johnson il tira e molla è finito. Era il promotore del referendum, leader del partito dei conservatori e ha detto che cosa vuole fare. Tutto sommato il quadro diventa più chiaro. Ed è meglio».
Anche in Europa sta cambiando tutto…
«Mi pare che dal discorso di insediamento la nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen si sta rivelando un personaggio particolarmente deciso. Assisteremo a un presidenza molto dinamica, l’Europa riprenderà il suo ruolo di iniziativa. C’è bisogno di un quadro di indirizzo strategico. Lagarde e l’italiano Roberto Gualtieri sono due segnali in questa direzione. Anche Tajani potrà dare un impulso forte alla creazione di un codice unico per l’unione Bancaria».
L’Italia sta puntando a un commissario in area economica?
«Lo chiedevo un anno fa, per un Paese come il nostro, è molto importante avere un commissario in quell’area. Ripeto, il contesto è molto diverso da un anno fa. L’Italia può dare una spinta alla ripresa e quando lo fa è in grado di sorprendere il mondo. Il segnale sugli obiettivi di deficit al 2020 ha rasserenato molto il clima. E aver evitato la procedura di infrazione può creare condizioni favorevoli».
Però le banche sono ancora alla prese con gli Npl, le sofferenze, ora anche i tagli…
«Veramente lo stock degli Npl si è fortemente ridotto e nessuno al mondo si aspettava che l’Italia potesse scendere a sofferenze nette per 30 miliardi. Nessuno se lo aspettava, non siamo condannati alla decadenza. Le banche hanno fatto il triplo salto mortale e si sono adattate a un contesto inimmaginabile, quello dei tassi zero se non negativi. All’assemblea dell’Abi ho ripetuto cinque volte che non dobbiamo rassegnarci. Lo spread deve tornare a quota zero, come nei primi dieci anni dell’euro. Si può e si deve. Un anno fa era fortissima la discussione sull’uscita dalla moneta unica. Ora, per fortuna, quasi nessuno ne parla più. E questo fa aumentare la fiducia nel Paese. Tutte le legislature hanno inizi turbolenti, poi chi arriva deve fare i conti con la durezza della realtà».
Come è accaduto per il via libera alla tav deciso dal premier Conte…
«La linea di Conte è rassicurante. E’ solo sbagliato chiamarla Torino-Lione. E’ come se avessimo chiamato l’Autostrada del sole la Roma-Firenze. Era un’Italia che voleva accorciare le distanze. Quello che ora sta avvenendo con la rete ferroviaria europea. La tav è un anello di un’ infrastruttura molto più ampia, un segnale strategico che ci connette alla rete continentale. Un passo di modernizzazione del Paese in un sistema intermodale. Di accesso ai porti. Sa che Cavour scrisse un libro sull’Unione ferroviaria in Italia? Bene, ora questo vale per l’Europa».
Però il credito non cresce?
«Ricorda l’espressione del cavallo che non beve… le imprese hanno subito una forte selezione naturale, come le banche, ma il problema centrale è che mentre le famiglie chiedono i mutui, le aziende spesso fanno fatica a investire, bisogna creare le condizioni perché torni la fiducia. Ridurre l’incertezza non è solo una questione di numeri di bilancio ma certo la legge di stabilità può e deve creare le condizioni per questo».
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